Note di regia

Da tempo seguivamo con apprensione l’acuirsi delle tensioni in Ucraina, ma fu nel 2015, durante un lavoro di ricerca per un documentario altrui, che Maya s’imbattè in un articolo sul teatro dell’opera e del balletto di Donetsk: la guerra in Ucraina incalzava già da un anno, la città era sotto assedio, bombardata di giorno e di notte, ma il teatro resisteva, continuando a preparare spettacoli in una città deserta.

Il tema ci appassionava: tuttavia, a malincuore, il progetto fu proposto infine al regista per cui Maya stava lavorando. Era chiaro che l’argomento aveva grandi potenzialità; eppure, dopo un periodo di riflessione, con garbo, il regista declino’ l’offerta: troppo rischioso.

Ne fummo entusiasti: il progetto sarebbe stato nostro.

Chi resiste, imbraccia un fucile, pensavamo. Con le pallottole si difendono la terra, la casa, la famiglia e, a volte, persino gli ideali. Ma come può Tchaikovsky arrestare un’intera armata, un romantico pas de deux rispondere al fuoco dei cannoni? Teso sulle punte, il teatro, difendeva con dignità ciò che di più alto e nobile c’è nell’essere umano: l’arte. Senza stipendio e senza incasso.

Così, sotto la coltre di interessi internazionali che si contendevano quella regione, silenziosamente, un gruppo di lavoratori, ballerini e musicisti, non solo si opponeva, ma demoliva, giorno dopo giorno, il mito moderno dell’ideologia liberista.

In che senso? – ci chiederete.

La domanda dovrebbe essere piuttosto rivolta a Kolia, il custode che tutte le mattine si reca al teatro per aprire i battenti agli impiegati dell’amministrazione. Uno dopo l’altro entrano musicisti e fonici, truccatrici e costumiste. A gruppetti s’appressa il coro dell’opera. Dal suo gabbiotto affacciato sul retro, passa Sasha, l’inserviente, e affrettandosi varca l’uscio con un cenno di saluto il direttore del teatro. Nel pomeriggio passano in silenzio i ballerini di ritorno dal fronte e, da dietro l’angolo, già si odono gli schiamazzi delle ragazzine della scuola di balletto.

Senza slanci eroici né ideali rivoluzionari, ogni giorno Kolia rischia la pelle; guerra o non guerra il teatro va aperto.

E la sera, spente le luci e dato l’ultimo giro di chiave, allontanandosi verso la sua Zhiguli sgangherata, senza neppure rendersene conto, Kolia avrà tirato giù un altro pezzo dalla teoria del profitto e del benessere, quale unico obiettivo di ogni azione umana. Si siederà a tavola, litigherà con la moglie per il puzzo di cavoli stufati, comprati al mercato nero per una fortuna e, prima di addormentarsi, nel buio della camera da letto, osserverà il lampadario pendere immobile come un impiccato. I boati sono ancora lontani. L’essere umano, dicono, sia per sua natura egoista, ma Kolia non lo sa e, se Dio vuole, domani il teatro sarà di nuovo aperto.

Per anni siamo stati assaliti da dubbi: come si può’ fare arte in un periodo drammatico come quello che stiamo vivendo? Non bisognerebbe fare altro, qualcosa di più “pratico”, forse?

La risposta ce l’ha data il teatro di Donetsk: non fuggire, né rinunciare, ma resistere, in nome dei valori di verità e giustizia, bellezza e armonia.

Il messaggio è semplice: un’alternativa all’egoismo esiste, ed è nostro dovere perseguirla.

Questo film è per noi un segnale d’adunata rivolto a tutti coloro che, seppure dispersi, compongono la parte di popolazione mondiale definita come “intellettualità diffusa”.

Infine, “Silenzio! Spettacolo in corso” è un film italo-russo, indipendentemente da chi lo produrrà. Del cinema russo il film assume la riflessività, la vena lirica, la tensione etica; dell’italiano, la vivacità dei caratteri, il realismo popolaresco, l’umorismo pungente e malinconico.

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